Immaginate un uomo straordinario, un ingegnere irlandese, che dall’età di 16 anni inizia a perdere la vista diventando, sei anni più tardi completamente cieco. Un giorno si reca di nascosto in barca, con suo figlio John, sul banco di sabbia di Belfast Lough, colloca un palo a vite lasciando l’estremità superiore visibile sopra l’acqua. La mattina seguente torna sul luogo e trova il palo ancora saldamente fissato in posizione. Effettua una seconda prova della sua invenzione nella primavera del 1833, ed anche questa volta l’esito è positivo.
Chi era quest’uomo e che cosa aveva inventato? Stiamo narrando di Alexander Mitchell (Dublino 13 aprile 1780 – Glendivis 25 giugno 1868) il quale, animato dalla convinzione che si potessero salvare molte vite in mare, studiò un modo per costruire fari su secche o banchi di sabbia dove era molto difficile, se non impossibile, poter costruire fari in muratura per le caratteristiche del terreno; da quest’idea progettò il palo a vite che gli conferì fama mondiale. L’idea, forse, gli venne osservando un cavatappi e la forza necessaria per aprire una bottiglia di vino. Alcuni mesi dopo gli esperimenti di Belfast Lough, si recò a Londra per far brevettare la sua invenzione, impresa che non fu facile. Nel 1838 grazie all’amicizia con James Walker ingegnere della Corporation Trinity House di Londra, ricevette l’incarico di gettare le fondamenta del faro di Maplin Sands nell’estuario del Tamigi utilizzando il sistema dei piloni a vite.
Dopo un accurato studio sulla natura del terreno, il faro venne costruito usando una zattera di circa 9 metri per 9 metri rimorchiata fino al punto in cui i pali dovevano essere piantati e avvitati, e qui ancorata. L’opera era formata da nove pali di ferro battuto, un palo centrale che veniva collocato in posizione verticale attraverso un’apertura tagliata nella zattera e da otto pali avvitati equidistanti negli otto punti designati che formavano un ottagono (Fig. 2 Plan of raft). Ogni palo aveva all’estremità inferiore una punta a vite in ghisa di 1,22 m. di diametro. Furono fissati ad una profondità di 6,70 m. usando un argano applicato all’estremità superiore del palo. Alcuni uomini, a spinta facevano girare in senso opposto il palo usando delle stanghe che attraversavano la testa dell’argano, così facendo il palo penetrava nel terreno proprio come un cavatappi. I pali furono avvitati in 9 giorni (dal 28 agosto al 5 settembre 1838) e furono impiegati in tutto 40 uomini.
La sovrastruttura fu completata da James Walker due anni dopo la collocazione dei pali e il faro fu acceso nel febbraio del 1841. Dopo Maplin Sands, Mitchel ricevette un secondo contratto per la costruzione del faro in ferro al largo di Fleetwood (1839-1840). Nell’estate del 1844 ne fu costruito un altro sulla Holywood Bank a Belfast Lough. Ma l’impiego dei pali a vite si adattava non solo alla costruzione dei fari ma anche ad altre opere marittime, per esempio, a moli ed ormeggi, a viadotti per strade ferrate, a ponti-canali per condotte d’acqua.
Nel 1847 Mitchell e suo figlio, ormai anch’egli ingegnere, costruirono un molo su pali a vite a Courtown Harbour. Quando fu completato, il Conte così commentò: “A prima vista sembra troppo fragile per resistere al mare, ma una piccola riflessione convince che la sua stessa esiguità gli impedisce di offrire qualsiasi resistenza al mare che lo attraversa”. Mitchell ebbe svariati riconoscimenti per la sua invenzione che venne utilizzata in tutto il mondo. Durante questi anni la famiglia di Alexander fu sempre molto preoccupata per la sua incolumità. Egli, infatti, anche se cieco, non temeva di uscire con qualsiasi tempo per esaminare il suo lavoro, sprezzante del pericolo di navigare su una piccola barca con mare agitato, salire su una scala di un faro in costruzione, un pericolo anche per chi ha la vista. Qualche volta cadde in mare, per fortuna riuscendo sempre a restare incolume. Nel 1855 alla Grande esposizione di Parigi gli fu assegnata la medaglia d’argento per la sua invenzione dell’ormeggio a vite.
I fari delle Secche della Meloria, di Vada e delle Formiche di Montecristo
“Le Gabbie”
Trent’anni dopo l’inizio dell’uso dei pali a vite e dopo aver quindi riconosciuto che una volta infissi nel suolo possiedono un grado di resistenza alla trazione e alla compressione decisamente maggiore di quella dei pali comuni affondati nel terreno a percussione, si pensò anche in Italia di impiegarli per la costruzione di fari in quei luoghi dove l’edificazione di una torre in muratura sarebbe stata troppo costosa o di difficile esecuzione. Condizioni queste che furono riscontrate nelle secche della Meloria, di Vada e della formica di Montecristo; punti ritenuti molto pericolosi per la navigazione lungo le coste della Toscana, che era quindi necessario segnalare con appositi fari. Nel 1865 furono realizzati i relativi progetti e a dicembre dello stesso anno furono appaltati i lavori ad una casa inglese, la Wels di Londra, per il prezzo di Lire 125,668.
Nell’immagine è riportata la tavola del progetto del faro della Meloria (il progetto è identico per gli altri due fari Vada e Montecristo)
La figura 1 mostra l’insieme dell’opera. La base dell’edificio era formata da una corona di 6 pali (p,p,p…) posti agli angoli di un esagono regolare più uno al centro. Erano pali in ferro battuto del diametro di 0,152 m. e la loro parte inferiore era munita di viti coniche(v,v,v…..)di struttura speciale per penetrare meglio nel fondo, soprattutto quando questo era roccioso. La misura della profondità varia a seconda delle diverse qualità del fondo predetto. Nelle secche della Meloria, che sono di puddinga terziaria, i pali furono inseriti per 2,44 m. I pali di perimetro erano collegati tra di loro e con quello al centro per mezzo dei tiranti (t,t,t…) orizzontali e a diagonale (t’,t’,t’…).
Alle teste dei pali di fondazione si innestavano gli altri pali (p’,p’,p’…)anch’essi in ferro battuto del diametro di 0,127 m. e muniti di cappelli in ghisa (c,c,c…) nei quali si introducevano le teste dei pali inferiori. I membri superiori avevano un’inclinazione di circa 10° rispetto alla verticale; questo non tanto per un fattore estetico quanto perché il centro di pressione del vento cadesse il più possibile in basso e la relativa spinta, agendo con un momento minore, producesse oscillazioni meno sensibili.
Alla metà dei pali sovrapposti vi era una fasciatura orizzontale, formata di ferri t’’,t’’,t’’…simili ai t,t,t…cui facevano capo sopra e sotto altri ferri a diagonale t’’’,t’’’,t’’’…e t’’’’,t’’’’,t’’’’ … i quali si raccordavano tutti al palo centrale. Questa disposizione di fasce e tiranti serviva al collegamento generale delle diverse parti dell’opera e specialmente ad impedire le flessioni dei pali p’p’p’.. cui potevano andar soggetti a causa della loro lunghezza circa 10,00 m.
A rendere più solido il sistema concorrevano i tiranti a diagonale incrociati r,r,r,….di tondino battuto del diametro di 0,04 m. i quali tiranti portavano superiormente i manicotti a vite m,m,m,… che servivano a regolare la tensione onde evitare un’eccessiva rigidità con conseguente strappo in caso di uragano.
La parte superiore dei pali inclinati terminava con una specie di capitello di ferro fuso c’,c’,c’…. sopra cui era poggiato il piano in legno a b al quale si accedeva con la scala s di tondino di ferro battuto e su di esso si innalzavano il casotto c d dei fanalisti e la lanterna e f del faro. Il palo verticale del centro arrivava fino a questa altezza e serviva da sostegno al faro stesso.
L’alloggio dei fanalisti era costruito in lamine di ferro galvanizzato, con rivestimento interno di tavole di abete difendendo così l’ambiente dagli eccessi della temperatura nelle due stagioni estreme. Lo spazio era diviso ed utilizzato come segue:
la parte a b c (Figura 2) era abitata dai fanalisti;
la parte d era inerente alla scala che conduceva alla lanterna
la parte e (Figura 3) era la soffitta utilizzata per riporvi carbone, vino ed altre provviste necessarie ai bisogni della vita.
La mobilia del faro era davvero molto spartana e consisteva nei seguenti oggetti (Figura 2):
f f due letti a cavalletto;
h armadio da cucina
g g due recipienti uno per l’olio del fanale, l’altro per l’acqua potabile;
i fornelli di ferro fuso;
l tavola a cerniera.
La scala che portava alla lanterna era a spirale ed era formata da gradini in ferro fuso. Nella lanterna era posto un apparecchio lenticolare l di 4° ordine secondo il sistema Sautter il quale presentava il suo asse focale a 18,30 m. sul livello delle acque medie. La copertura superiore r consisteva in un emisfero di rame munito di scaricatore elettrico, e sostenuto da un’armatura di ottone, i colonnini delle quali servivano anche da telai per i cristalli che formavano la lanterna propriamente detta.
Le figure A, B, C, D ed F riproducono quelli che erano i particolari delle congiunzioni dei tiranti trasversali a T col palo al centro e con quelli di periferia, le giunzioni dei pali fra loro, i manicotti a vite dei tiranti di tondino. La figura G invece riporta la forma delle viti coniche poste all’estremità inferiore dei pali da infiggere, le quali terminavano a punta di diamante cioè con una piramide quadrangolare il cui lato è di 0,10 m.
Al di sopra s’innalza un tronco di cono attorno a cui si svolge una vite con verme prismatico triangolare inclinato di circa 20° che girando allarga il foro già preparato dalla punta. Mano a mano che scende in profondità il verme disgrega la roccia laterale e fa spazio all’inserzione del palo.
La difficoltà maggiore per realizzare queste opere stava proprio nella installazione dei pali: la preparazione della zattera di legno con il foro che serviva da guida per l’inserimento del palo centrale e di quelli periferici; l’innalzamento del palo in verticale resa difficile dal movimento del mare e dalla mancanza di omogeneità del suolo da perforare. Si dovevano quindi fare continui riscontri con filo a piombo o applicare delle taglie di richiamo in senso opposto alla tendenza di inclinazione. Era previsto anche l’impiego di: un palombaro per congiungere i tiranti obliqui al palo di mezzo in modo da formare la base dell’edificio, e di una tartana e di un gozzo per il trasporto dei pezzi e per le manovre di sollevamento. Di seguito è riportata la tabella con i dati relativi al tempo impiegato per la costruzione e la spesa sostenuta.
Il faro della Meloria era posto all’estremità sud dei banchi omonimi a circa 200 metri dall’antica torre. Fu attivato il 18 maggio 1867 ed aveva luce bianca trasformata in rossa nel 1895 visibile a 14 miglia. Inoltre, era munito di campana per la nebbia.
© Felicetta Santomauro e Vittorio Grandi
Bibliografia: