Un’immagine degli anni ’50 porta nuova luce per documentare il piccolo faro di Antonello Marchese*
Frugando recentemente tra alcune fotografie realizzate da mio nonno Vittorio alla fine degli anni ’50, insieme ai ritratti di famiglia, compare un’immagine dedicata al piccolo faro dello Scoglietto, scatto effettuato durante una gita in barca in una placida giornata estiva ormai lontana.
La foto, oltre a confermare come l’interesse per la documentazione fotografica dei segnalamenti marittimi fosse già nel DNA familiare, documenta l’amore del nonno per la “sua” Elba e l’attenzione per il piccolo fanale e l’isolotto, quale parte integrante dei panorami portoferraiesi, e quindi riferimento, non solo nautico ma anche come componente del nostro paesaggio, fornisce interessanti dettagli architettonici della struttura. Nell’immagine infatti l’edificio appare privo della più moderna lanterna che sarebbe stata realizzata successivamente. Il documento dunque aggiunge un tassello per la ricostruzione della storia del faro e più in generale del piccolo affioramento roccioso che lo ospita, argomento per quanto già ampiamente descritto nel volume “Fari di Toscana” redatto ormai nel 2011 insieme ad Annamaria “Lilla” Mariotti e Laura Jelmini, nel quale ho curato in particolare oltre alla documentazione fotografica, la sezione dei fari delle isole dell’Arcipelago.
Se vogliamo stilare una storia iconografica dell’isolotto che completa i panorami marittimi del capoluogo elbano dobbiamo rifarci alle rappresentazioni che hanno documentato lo sviluppo della città fortificata. Tra queste il quadro ad olio Prospettiva di Portoferraio con la descrizione delle nuove fortificazioni fatte dall’anno 1688 a tutto l’anno 1695, realizzato secondo alcuni autori da Lorenzo Fratellini ma più probabilmente ascrivibile ad un anonimo, opera andata dispersa durante la seconda guerra mondiale, dove è documentato l’abitato cittadino visto dal lato di meridione e l’affioramento roccioso che risulta in lontananza quasi all’orizzonte sulla sinistra del Forte Falcone.
Si trattava di opere commissionate con tutta probabilità dai Granduchi che volevano documentare gli sviluppi e miglioramenti delle fortificazioni cittadine: Portoferraio era un vanto per il Granducato e andava perciò celebrata e ricordata. Nei quadri le fortificazioni e le migliorie effettuate sono così numerate e dettagliate in precise legende poste alla base delle rappresentazioni. Per intenderci sono opere affini a quelle esposte attualmente nella piccola esposizione ospitata nel Forte Falcone, queste attribuite da alcuni a G.M. Terreni, che però in quel caso non documentano il nostro piccolo scoglio.
Altri bei quadri ad olio che riportano la veduta dello Scoglietto sono quelli prodotti con la stessa finalità sopra indicata e attribuiti ad autori anonimi: una è la veduta di Portoferraio, visto da sud, realizzata intorno al 1695 e l’altra è la bella prospettiva attualmente ospitata nella residenza napoleonica di San Martino, presa ancora da sud, pure attribuita ad un anonimo, che ritrarrebbe la città del 1705 circa, dove lo Scoglietto appare quasi una macchia non ben definita in prossimità della linea dell’orizzonte sulla sinistra del Forte Falcone. Ancora anonimi, probabilmente gli stessi, ritraggono lo Scoglietto, i bastioni medicei e il golfo di Portoferraio con prospettive aeree da settentrione, sempre con opere ad olio, vedute molto moderne che ci riportano alle odierne immagini realizzate con i droni. In una di queste in particolare l’affioramento roccioso è ben dettagliato con l’evidenza delle sue stratificazioni rocciose ritratte tra svolazzi di velieri dalla tela rigonfia di vento.
Belle rappresentazioni inoltre sono le tavole, pure di un anonimo, che nel 1697 circa aveva documentato i panorami della città medicea, fortificazioni e dintorni dell’abitato, inserendovi anche la rada e il golfo, con legende e dovizia di particolari, impiegando matita nera, penna e inchiostro e acquarello policromo. L’affioramento dello Scoglietto appare così in ben tre tavole che illustrano prospettive diverse.
Del periodo napoleonico abbiamo invece una piccola documentazione scritta sullo Scoglietto ad opera dell’ingegnere geografo Casimir Mery (Mémoire Topographique, Histoirque et Militaire sur l’Ile d’Elbe) pubblicato nel volume di Amedeo Fara, Portoferraio, Architettura e urbanistica 1548-1877, per le Edizioni della Fondazione Agnelli, anno 1997. Lo scoglio chiamato Lo Scoglietto. A nord a a 1400 metri dalla città si trova lo scoglio detto Lo Scoglietto; … Apparteneva al Principe di Piombino che non volle mai cederlo al Granduca di Toscana, che gli pagò un pedaggio… L’isola è ripida e possiamo attraccarvi per approdare. La cura che è stata posta nella difesa del luogo, difesa che è stata molteplice su tutti i punti, deve indicare la roccia dello Scoglietto come piuttosto importante; pare addirittura che fosse già servito a questo scopo e che vi fosse stata istituita una batteria per assicurare i diritti del principe di Piombino. Ci sono ancora tracce di edifici che venivano usati come alloggi e magazzini… L’ingegnere napoleonico, per la posizione strategica dello scoglio accenna anche all’idea di istituire “sullo Scoglietto una batteria di 4 pezzi di cannone, 2 obici e 2 mortai”.
Le notizie di Casimir Mery sulla presenza di tracce di edifici ci rimandano alle parole di Sandro Foresi che nel volume Luci e bandiere nei cieli e nei mari dell’Elba accenna alla presenza sullo scoglio di un faro di vedetta. Non dimentichiamoci che su alcune antiche mappe l’isolotto viene indicato come Ferraiola ma anche Faraiolo.
Con un ulteriore salto temporale giungiamo a Pietro Senno che nel 1875 inserisce l’affioramento roccioso nel quadro Marina della Padulella: nell’opera con una forzatura artistica compare appunto lo Scoglietto, in realtà situato più ad est rispetto a quella prospettiva scelta dall’artista per la rappresentazione pittorica. In maniera più precisa l’isolotto risulta nel quadro Contadino e buoi allo Schiopparello, o come è indicato nella raccolta dedicata al pittore da Giampaolo Daddi, Contadino e bovi alle Grotte, dove lo scoglio compare in lontananza. È questa un’opera molto moderna in cui l’autore appare aderire ai principi dei macchiaioli Toscani con il tema dell’aratura, ritratta dal vivo nel 1882 più probabilmente a monte della zona dei Magazzini e con le pennellate più nervose e evidenti, appunto tante macchie di colore per formare le immagini. Il lavoro dell’uomo, soprattutto nelle campagne, diventa oggetto di raffigurazione pittorica e i buoi sono materia cara agli “impressionisti” toscani. Lo Scoglietto spunta laggiù proprio sopra i buoi, con la forma allungata tipica delle vedute di quella parte del golfo.
Nel campo dei macchiaioli non possiamo non citare Telemaco Signorini che ritrasse le bianche spiagge che coronano il lato nord-occidentale della città medicea. E così nell’opera intitolata proprio Lo Scoglietto, sono ritratti con le nervose e vibranti pennellate dell’artista fiorentino, i candidi ciottoli d’eurite delle Ghiaie, lambiti da un mare appena increspato, con le note tonalità turchesi e smeraldine di quei lidi. Sullo sfondo a destra compare la costa elbana con Monte Grosso mentre a sinistra appare l’isolotto ancora privo del suo faro. Così nella più plumbea opera La spiaggia delle Ghiaie a Portoferraio osserviamo un paesaggio simile ritratto però in una giornata nuvolosa e priva di vento. Quei luoghi e la loro luce dovettero colpire l’artista macchiaiolo che ritrasse un’altra veduta probabilmente dal promontorio di Capo Bianco intitolandola Il golfo di Portoferraio, dove in una giornata d’agosto del 1888, il pittore ritrasse alla sua maniera una burrasca estiva. Queste sono le parole di Giampaolo Daddi per descrivere il momento e l’oggetto dell’ispirazione pittorica “… quel giorno la vista dall’altura era incomparabile; lo Scoglietto semi-sommerso dai marosi, avvolto in un pulviscolo iridescente e le onde rincorrentesi furiosamente, il cielo ripulito dalla tramontana di ogni piccola nube e lontano, il canale di Piombino in tempesta …” (G. Daddi, Telemaco Signorini all’Isola d’Elba, Editrice Stefanoni, Lecco). Un’altra piccola rappresentazione dello Scoglietto appare sempre in un’opera di Signorini, un disegno a matita del settembre 1888 intitolato Portoferraio dai Magazzini, dove l’isolotto è ben riconoscibile con le sue due piccole gobbe che spuntano sulla linea dell’orizzonte. Di quel periodo per continuare la documentazione iconografica del nostro scoglio sono le immagini fotografiche di Giorgio Roster, alcune delle quali sono state recentemente esposte nell’interessante mostra ospitata nel Forte Inglese a Portoferraio “L’Elba di Giorgio Roster”, nelle quali, accanto alle emozionanti vedute delle imbarcazioni delle regate di fine ‘800 nel golfo portoferraiese, appare l’affioramento roccioso che ad un osservatore moderno sembra come nudo, in quanto ancora privo del segnalamento marittimo. Infatti la realizzazione della struttura di segnalazione avvenne nel 1910 ad opera del Genio Civile: il disegnatore incaricato creò così quel piccolo castelletto, in uno stile eclettico con elementi neogotici, la torretta del faro appoggiata ad un piccolo fabbricato con terrazza merlata e i volumi rivestiti di pietre a vista lavorate grezze. Il materiale usato fu il locale calcare di colorazione rosata con pietre più chiare impiegate per realizzare le merlature e le mensole del terrazzo e del ballatoio della torretta. È sorprendente notare come l’edificio sia perfettamente integrato nel paesaggio naturale su quello scoglio, così da farci pensare che il progettista abbia saputo ascoltare e comprendere il genius loci del luogo.
È ormai la fotografia lo strumento per una documentazione più accurata e dopo i più rari scatti di Roster le macchine fotografiche diventano via via più disponibili anche se ancora appannaggio di fotografi professionisti: l’Elba viene documentata così attraverso le cartoline illustrate ed appunto risale agli anni ’20 -’30 dello scorso secolo uno scatto che ritrae lo Scoglietto e il suo suggestivo fanale dai caratteri eclettici. La foto è realizzata dal fotografo Fabris per le edizioni della Cartoleria Luigi Boni di Portoferraio. Per quanto riguarda il successivo periodo bellico autori affermano che il segnalamento sarebbe stato minato e ricostruito successivamente. Era triste abitudine delle truppe germaniche in ritirata il danneggiare ponti, porti e strutture militari e di riferimento prima della partenza dai luoghi occupati. Un esempio per tutti è il trecentesco faro di Livorno distrutto appunto nel 1944. Ma avendo interpellato esperti di storia locale, con particolare attenzione al periodo bellico, insieme ad alcuni testimoni oculari che hanno vissuto quelle fasi drammatiche, non risulta nulla per il piccolo faro dello Scoglietto. Di quei momenti sappiamo di interruzioni per quanto riguarda il funzionamento dei segnalamenti marittimi ma non di esplosioni e di evidenti danneggiamenti. Se il piccolo faro rosato fosse stato minato poi fortunatamente non avrebbe forse avuto luogo l’evento esplosivo. Le caratteristiche architettoniche dell’edifico non sembrano mutate a parte qualche piccolo dettaglio scomparso dalla facciata meridionale.
E così giungiamo allo scatto del nonno, con il segnalamento dello Scoglietto ancora privo della sua lanterna più tipica di un vero faro come quella attuale ma munito di un fanale più piccolo appena sporgente dalla torretta: negli anni ’50 il segnalamento funzionava ancora ad acetilene con l’accensione gestita al crepuscolo dalla valvola solare e con i bomboloni contenuti dentro il rosato edificio. Più recentemente quindi sarebbe stata realizzata l’attuale lanterna e con l’aggiunta dei pannelli solari il nostro faro iniziò ad accendersi grazie ad uno dei primi impieghi di questa importante “energia pulita”.
Oltre che nelle immagini fotografiche lo Scoglietto è ritornato ancora oggetto di materia pittorica per alcuni artisti della seconda metà del XX secolo. Tra loro incontriamo l’artista isolano Elvio Nardelli, che particolarmente affezionato a quel frammento di roccia, considerato uno dei simboli dell’isola, gli ha dedicato diverse tele. Non possiamo non citare il pittore Riccardo Nicosia, di origini siciliane ma residente a Roma, con il suo atelier sotto le stelle lungo la calata, ormai un classico delle estati portoferraiesi, che mette l’isolotto tra i suoi soggetti preferiti, ritratto con tenui colorazioni e col grazioso fanale in evidenza, con l’aggiunta d’immagini d’ispirazione marinaresca.
Anche Nevio Leoni, piombinese di origini, ma ormai solidamente trapiantato all’Elba ha dedicato alcune sue tele al suggestivo scoglio con il faro, nel suo stile moderno e luminoso, che ben si addice alla luce e alle tonalità chiare delle stratificazioni calcaree, nei quadri nettamente separate dal tipico tratto nero, peculiarità costante della sua tecnica artistica.
© Antonello Marchese
*Guida ambientale e guida ufficiale del Parco Nazionale Arcipelago Toscano. Fotografo di Natura. Giornalista Pubblicista. Promotore dell’azione Elba Foto Natura, nell’ambito dei progetti della Carta Europea per il Turismo Sostenibile.