Negli anni che seguirono la nascita del Regno d’Italia, si assistette al processo di progressiva armonizzazione delle legislazioni che avevano regolato la vita dei regni nei quali era diviso il territorio della penisola.

La cosiddetta legge Ricasoli (legge 20 marzo 1865, n. 2248) determina l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia, confermando l’adozione del preesistente sistema accentratore di imitazione francese, caratterizzato da una potente Amministrazione centrale, che si avvale, su base provinciale, dell’istituto prefettizio per vigilare e provvedere affinché l’amministrazione locale si svolga sempre secondo le proprie direttive e indirizzi.

Questo processo di accentramento amministrativo interessò, com’è ovvio, anche la gestione dei fari che illuminavano le coste italiane nonché del reclutamento e dell’addestramento dei fanalisti che sarebbero stati incaricati della loro conduzione.

Prima dell’Unità d’Italia, infatti, ogni stato provvedeva con proprie leggi all’illuminazione della costa e all’eventuale costruzione e manutenzione dei fari.

Per quanto riguarda le coste del sud, ad esempio, il Regno delle due Sicilie si era dotato di una specifica legislazione in materia.

Il 27 Settembre 1848 i Borboni avevano emesso il “Regolamento del Servizio dei Fari presentato dalla Commissione dei Fari e Fanali”, che contemplava le norme per la costruzione, la manutenzione e la conduzione dei fari, comprese anche le mansioni dei guardiani e gli orari di accensione e spegnimento della lanterna e già in precedenza, nel 1841, la monarchia borbonica era stata la prima in Italia ad adottare il Sistema di fari da diporto con segnalazione lenticolare a luce costante.

Fu tuttavia necessario attendere il 2 aprile del 1885 per avere la prima legge italiana sui Fari, la N° 3095, con la quale Umberto I approvava il T. U. del 16 luglio 1884 n. 2518 con le disposizioni del titolo IV su porti, spiagge e fari.

 

       

Già prima di quella legge, però, era l’amministrazione centrale dello Stato a occuparsi, in ogni dettaglio, della gestione dei fari, come dimostra questo avviso d’asta che riguarda l’elettrificazione del faro dell’isola del Tino, datato in Genova il 5 luglio 1880, e che compare nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 163 dell’8 luglio 1880.

Ma dal punto di vista del racconto delle vite dei faristi, o meglio dei fanalisti, come venivano chiamati allora, che andiamo narrando in questa nostra rubrica, sono particolarmente interessanti i regolamenti concernenti il reclutamento e le mansioni dei fanalisti, che vennero pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Ne è un esempio il REGIO DECRETO 12 gennaio 1896, n. 17 che approva il:

Regolamento […] pel servizio dei fari e fanali esistenti nelle coste marittime e nelle isole del Regno, approvato al fine di coordinare […] per quanto si riferisce alla divisione del personale dei fanalisti; e di meglio regolare le disposizioni vigenti circa la prestazione delle cauzioni, per parte dei fanalisti, e l’applicazione delle pene disciplinari. Questo Regolamento resterà in vigore fino al 1o ottobre 1910. Nel 1911, vista l’importanza strategica della loro posizione sotto l’aspetto militare, il Regio Decreto n. 294 trasferì la competenza del Servizio Fari dal Ministero dei Lavori Pubblici alla Regia Marina.

Questo documento, disponibile presso l’archivio storico della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, getta luce sulla vita dei guardiani dei fari nel ventennio a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

Ne riportiamo qui di seguito i punti salienti.

I fanalisti, che si distinguevano in capi fanalisti di 1ª e 2ª classe, e in fanalisti di 1ª, 2ª e 3ª classe, appartenevano al personale subalterno dell’Amministrazione dei lavori pubblici, e potevano essere trasferiti da un faro all’altro, secondo le convenienze di servizio.

Per essere ammesso come fanalista di 3ª classe era necessario:

a) essere regnicolo;

b) avere lodevolmente servito nella marina militare o mercantile, ovvero nelle guardie di finanza di mare;

c) non avere oltrepassata l’età di 40 anni;

d) saper leggere e scrivere bene o conoscere le quattro operazioni fondamentali dell’aritmetica;

e) essere muniti di un certificato di buona condotta del sindaco del Comune in cui ha domicilio l’aspirante;

f) non andare soggetto ad alcuna fisica indisposizione incompatibile col servizio del fanalista.

Prima di essere dichiarati idonei al grado di fanalista di 2ª classe i fanalisti di 3ª classe dovevano prestare, durante un anno, un servizio di prova in uno o più fari.

Terminato il servizio di prova, i fanalisti venivano sottoposti ad un esame che consisteva nelle seguenti prove:

  • di calligrafia applicata alla compilazione degli specchi e dei registri di contabilità dei fari;
  • di aritmetica: le quattro operazioni fondamentali applicate a dati pratici;
  • di composizione: una relazione di servizio;
  • di cognizione dei doveri di fanalista: questa prova sarà orale;
  • di esercizio pratico del maneggio degli apparecchi delle lampade e dei loro accessori.

Oltre al risultamento di questo esame si terrà conto del modo con cui avranno prestato il servizio di esperimento per determinare il merito relativo tra i candidati da promuoversi alla classe superiore.

Gli stipendi annui dei fanalisti erano determinati dalla seguente tabella:

Capi fanalisti di 1ª classe         L. 1000

Id. di 2ª classe                           L.   900

Fanalisti di 1ª classe                L.   800

Id. di 2ª classe                          L.   700

Id. di 3ª classe                          L.   600

Rapportato al 2020, il potere di acquisto dello stipendio annuo di un capo fanalista di prima classe del 1896 sarebbe di poco meno di 5000 euro! (fonte il Sole 24 ORE https://www.infodata.ilsole24ore.com/2015/04/14/se-potessi-avere-calcola-il-potere-dacquisto-in-lire-ed-euro-con-la-macchina-del-tempo/?refresh_ce=1).

Fortunatamente il regolamento prevedeva che, oltre allo stipendio, i fanalisti godessero dei seguenti vantaggi:

a) l’alloggio nel faro per sé e per la famiglia, ove ciò sa possibile, o nelle vicinanze. I fanalisti di 3ª classe non godranno del vantaggio dell’alloggio per le proprie famiglie;

b) la mobilia per ciascun fanalista (esclusa la famiglia), consistente in un letto corredato di saccone, materasso e traversina, ma senza biancheria, quattro sedie comuni, un armadio ed una tavola;

c) una razione di brace per ogni faro dal novembre al marzo inclusivamente per il riscaldamento della stanza di servizio e pel disgelo dell’olio;

d) una barca a due remi pei fari isolali nei quali sia possibile di conservarla con sicurezza, ed anche per gli altri fari pei quali sia indispensabile;

e) una indennità per provvista d’acqua potabile, quando si debba attingerla ad oltre due chilometri di distanza dal faro, od altra impresa non abbia l’obbligo di fornirla;

f) una indennità di vettovaglia pei fari situati sopra isolette prive di abitato, e per quelli posti a distanze maggiori di 10 chilometri dal centro dove sia possibile di far provviste.

I fanalisti avevano diritto alla pensione.

Nonostante queste indubbie facilitazioni, a causa del magro stipendio e per effetto del relativo isolamento geografico in cui si trovavano in genere gli edifici, non era raro trovare un cortile interno con un piccolo spazio ricavato per l’orto o il pollaio che potesse garantire, nei periodi più difficili, un minimo di sostentamento.

Il numero dei fanalisti che dovevano prestare servizio in ciascun faro dipendeva dalla importanza del faro, dalla sua posizione più o meno isolata, e dalla difficoltà delle comunicazioni, sia per terra che per mare, con i più vicini centri abitati.

Nelle circostanze ordinarie erano assegnati:

tre fanalisti, compreso il capo fanalista, ai fari di 1° e 2° ordine; due fanalisti, anche compreso il capo fanalista, a quelli di 3° ordine; un fanalista a quelli di 4° ordine e dagli ordini inferiori.

In ciascun faro il capo fanalista era incaricato della regolarità del servizio e del mantenimento dell’ordine.

Egli aveva la custodia e la contabilità dell’olio, del petrolio e degli oggetti di grande e piccola dotazione, sorvegliava il servizio degli altri fanalisti, curava l’istruzione dei fanalisti di 3ª classe, partecipava all’esame dei medesimi e riferiva direttamente all’ufficiale del Genio civile delegato. Doveva concorrere, per turno, al servizio d’illuminazione, ed a quello in genere del faro, come i fanalisti.

I capi fanalisti erano particolarmente responsabili dell’andamento del servizio e della sua regolarità, del consumo dell’olio, del petrolio e di altri oggetti necessari alla illuminazione, della manutenzione ordinaria degli edifici, e di ogni dipendenza del faro, ed i fanalisti subalterni dovevano scrupolosamente osservare gli ordini e le istruzioni di servizio che venivano loro impartite dai capi fanalisti.

I fanalisti erano inoltre responsabili della fiamma della lanterna e della conservazione e del buon utilizzo degli apparecchi d’illuminazione.

Per la regolare sorveglianza della fiamma, era stabilito fra i fanalisti, non escluso il capo fanalista, un turno di veglia durante la notte.

Nessun fanalista poteva assentarsi dal faro né aveva diritto a congedi che per cause di malattia o per affari di famiglia.

Anche la disciplina veniva rigidamente regolamentata.

Erano infatti puniti disciplinarmente:

1° Il giuoco nell’interno dello edilizio;

2° L’ubriachezza senza disordini;

3° I dissidi tra i colleghi che non producano irregolarità di servizio;

4° La disobbedienza semplice;

5° La negligenza o le omissioni in servizio;

6° La mancanza di rispetto verso i superiori;

7° L’assenza dal faro senza autorizzazione;

8° La mala fede nell’uso dell’olio, del petrolio e di altri oggetti di consumazione e di dotazione del faro.

Anche le relative punizioni erano oggetto di norma:

  • L’ammonizione;
  • La consegna al faro;
  • Il servizio di rigore;
  • L’ammenda da centesimi 50 a lire 10;
  • La ritenuta da lire 10 fino a metà dello stipendio mensile;
  • La sospensione dallo stipendio e dal servizio;
  • Il ricollocamento nella classe o grado immediatamente inferiore;
  • Il licenziamento;
  • La destituzione.

Il servizio di rigore consiste nella ripetizione del turno di servizio di pulizia del fabbricato, fino a dieci giorni consecutivi, nella duplicazione del turno di servizio di, fatica e de’ trasporti.

La vita dei fanalisti di fine Ottocento non doveva dunque essere tra le più agiate. Lo testimonia una vicenda che vede protagonista la moglie del fanalista di S. Venere a Vibo Valentia. La signora, nel 1907, venne denunciata perché vendeva derrate alimentari privatamente per arrotondare la scarsa retribuzione del marito (L. 700 annue). Non si procedette tuttavia nella denuncia solo a motivo del fatto che il tenore di vita cui la donna era soggetta a causa del lavoro del coniuge, definito come “uno dei più umili agenti dell’Amministrazione”, venne ritenuto così basso che l’espediente economico messo su dalla signora venne considerato legittimo. (Prefettura di Catanzaro, Serie I, Cat. XXII, b. 65, fasc. 5).

Felicetta Santomauro – Vittorio Grandi

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