Questa ricerca oltre a individuare i nomi e le storie dei faristi che nel tempo hanno prestato servizio al faro del Tino con le loro famiglie, ha ricostruito la storia della prima elettrificazione del Faro che fu sperimentata per la prima volta in Italia tra il 1885 e il 1912.
Non molti sanno che il progettista del Genio Civile fu il Commendator Parodi che pensò di utilizzare macchine termiche ad aria calda alimentate a carbone (purtroppo non si poterono utilizzare macchine a vapore per la difficoltà di approvvigionare acqua dolce che non è presente sull’isola) che servivano a mettere in moto due dinamo a corrente alternata che potevano funzionare separatamente o insieme, in modo da ottenere correnti variabili da 55 a 200 ampere. In quest’ultimo regime si aveva un potere luminoso di circa 1600000 carcels (unità di misura dell’intensità della luce pari a = 1,5584×107 Candele).
La luce del faro di San Venerio era visibile da oltre 75 miglia di distanza. Tuttavia i pescatori locali si lamentarono fin da subito per i potenti bagliori che, a 6-8 miglia dalla costa, facevano assumere alle onde le sembianze di pericolosi frangenti …inoltre, l’approvvigionamento di carbone quasi giornaliero, che doveva essere trasportato dall’ Arsenale fin sull’isola con piccole barche a remi, la fatica che ne derivava oltre al tempo necessario per trasportarlo e stivarlo non consentiva ai faristi di potersi adoperare anche per il corretto funzionamento del faro e assicurare allo stesso tempo il necessario sostentamento alle famiglie. Pertanto, nel 1912, si decise di riconvertire il faro a vapori di petrolio, poi ad acetilene e, solo in tempi più recenti, si poté procedere alla sua definitiva riconversione ad energia elettrica assicurata da gruppi elettrogeni e da un cavo sottomarino che dalla Palmaria porta, ancora oggi, l’energia elettrica di rete a tutta l’isola del Tino. Ma di questo e molto altro vi racconteranno i soci Felicetta e Vittorio e i faristi che al tino hanno prestato servizio.